[19.]
DELLA VOLPE, ET DEL RICCIO.
PASSATO havea la Volpe un fiume a nuoto
Et era a l’altra riva homai vicina
Quando restò piantata in certo loto.
Et mentre si dibatte la meschina
Più si sommerge et dentro a quello intrica,
Come la sorte sua▶ ve la destina.
Vana era al fin d’uscirne ogni fatica,
Sì che già stanca non si move punto,
E di mosche l’assal copia nimica.
Così l’un danno sopra l’altro giunto
Patì gran pezzo le beccate strane,
Che ’l sangue tutto homai le havean consunto.
Venuto al fiume allhor da le ◀sue tane
Il Riccio del suo mal forte si duole :
Et poi le dice con parole humane :
Ch’egli si trova in punto, s’ella vuole,
Di scacciarle le mosche allhor d’attorno,
Co’ spini suoi, come talhora suole :
Poi che del fango, ove ella aspro soggiorno
Suo malgrado facea, non potea trarla
Se ben s’affaticasse più d’un giorno.
Onde la Volpe a lui, che liberarla
Come amico volea di tanto affanno,
Gratie rendendo in cotal modo parla.
Non far fratello : che poco più danno
Far mi pon queste homai di sangue piene,
Di quel ch’infin adhor sì fatto m’hanno.
Che s’altro nuovo stuol di mosche viene,
Affamate a la prima havranno a trarmi
Quel poco, che mi resta entro a le vene ;
Onde potrei più in fretta a morte andarmi :
Tal che meglio è restar quel poco in vita
Di spatio, che dal ciel sento lasciarmi.
Così la gente tal esempio invita
A tolerar il suo tiranno avaro,
Per non far al suo mal nova ferita,
Se le è di viver lungamente caro.
Sopporta e appunta un mal chi non vuol giunta.