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DELLA CERVIA, ET LA VITE.
FUGGENDO i cacciatori entrò la Cervia
D’una frondosa vite entro una macchia,
E sotto i rami suoi cheta s’ascose :
Sì che scorrendo i cacciatori intorno
Sorte non hebber di poter vederla,
E per trovarla in altra parte andaro.
Ella veduto esser homai sicura
Da le mani di lor, ch’eran lontani,
A pascer cominciò di quelle foglie :
E tante in breve ne mangiò, ch’alfine
La vite ne restò spogliata affatto.
Onde tornando i cacciatori allhora
Per quel confine, e non essendo ascosa
La Cervia più da la spogliata vite,
La vider tosto : et mentre ella seguiva
Senza sospetto in ben satiarne il ventre
La saettar con un pungente strale,
Che da l’un fianco a l’altro la trafisse.
Così giungendo di sua vita al fine
Disse fra sé quell’infelice fiera.
Ahi quanto di ragion mi▶ vien la Morte
Poi ch’io medesma la cagion ne fui,
Offendendo con mio non picciol danno
Colei, ch’a l’ombra de le foglie sue
La cara vita ◀mi salvò pur dianzi :
Ond’hebbe poi da me sì ingiusto merto.
Così talhor aviene a l’huomo ingrato,
Che quel, che ’l tolse ad empia sorte, offenda :
Che par che ’l giusto Dio merto gli renda,
Quand’ei nol crede, eguale al suo peccato.
Non far oltraggio a chi ti fu cortese ;
Che Dio per lui vendicherà l’offese.