[3.]
DELL’AQUILA, ET LA SAETTA.
L’AQUILA stanca dal continuo volo
Per posar sopra un sasso al pian discese :
D’onde un uccellator, ch’ivi la vide,
E la prese di▶ mira, alfin la colse
Con un pungente stral da l’arco spinto
Mentre ella stava per gettarsi intenta
Dietro a una lepre, e farne alta rapina.
Ella, che trappassar sentissi il fianco
Dal crudo ferro, e quasi a morte giunta,
L’ali allargando declinò lo sguardo
Verso l’offesa parte, onde sapesse
La ria cagion dell’improviso colpo.
Et veduto lo stral tutto nascoso
Nell’intestine del suo proprio ventre,
S’avvide ancor, che de lo stral le penne
De l’ali proprie sue furon già parto :
E non tanto si dolse esser traffitta
Così colui, ch’è da l’amico offeso,
Che non il duol de la medesma offesa :
Che quando l’huom d’altrui favore aspetta,
Se ’l contrario n’avien, tanto maggiore
Di quell’ingiuria ogn’hor sente la doglia,
Quanto minor ◀di lei fu la speranza.
L’offesa de l’amico appar più grave.