[13.]
DEL CERVO.
IL Cervo si specchiava intorno al fonte,
E del bel don de le ramose corna
Si gloriava di sua altera fronte :
E mentre quelle a vagheggiar pur torna,
De le gambe si duol brutte e sottili,
Qual non conformi a sua persona adorna.
E le biasma e le sprezza come vili
Rispetto al peso de le corna altero,
Le quali ei stima nobili e gentili.
Ma mentre egli dimora in tal pensiero,
Ecco sentir di cani e cacciatori
Da un campo non lontan strepito fiero.
Onde già volto in fuga a tai romori
Corre veloce entro un’antica selva
Per trarsi in quella di periglio fuori.
Così fuggendo la paurosa belva
In un momento tanto avanti passa,
Che▶ quasi nel suo centro si rinselva.
E mentre i cacciator lontani lassa
Mercé de le sue gambe agili e preste
Giunge ove una gran quercia i rami abbassa.
Quivi le corna diventar moleste
A lui pur dianzi fuor di modo care,
Talché come al partir da l’acque chiare
PACELe gambe lo salvar da dura sorte,
Queste cagion li fur di pene amare.
◀Che giunta in breve per le vie più corte
De i can la torma a lui, ch’era intricato,
Con fiero stratio ne ’l condusse a morte.
Ma mentre ei si trovava in tale stato
Forte doleasi, che le corne a questo
Fossero quelle, che l’havean guidato.
Tal l’huomo suol tener spesso molesto
Quel, ch’utile gli apporta e giovamento,
E prezzar quel, che gli è d’aspro tormento
Cagione, onde rimane afflitto e mesto.
Non quel, che par ; ma quel, ch’è buono, apprezza.