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DEL CONTADINO, E GIOVE.
UN bel podere un Contadin da Giove
Tolse in governo con espresso patto
Che Giove a sua richiesta ogni stagione
De l’anno a regger solamente havesse
Mandando hor vento, hor pioggia, hor caldo, hor gelo,
Secondo ch’ei da lui chieder saprebbe.
Così si contentò Giove ubidirlo :
E tutto l’anno governò a richiesta
Del Contadino. Or finalmente avenne
Che né biada, né vin quell’anno colse
Tanto sterile andò la terra allhora.
Di che Giove sen rise, e ’l Contadino
Le perdute fatiche in van piangea.
Chiamollo Giove poscia, e per mostrarli
Quanto era vana la prudenza sua
In voler comandar a chi sa il tutto :
Gli disse. Or su fratel poi c’hai veduto
Qual utile t’ha dato il tuo consiglio
In farmi governar l’anno a tuo modo,
Ara, e semina anchor a modo tuo
Quest’anno quel poder, c’hai da me preso
E lascia a me la cura del▶ governo
Che t’avvedrai qual sia ’l tuo senno e ’l mio.
Così fece il Villano ; et nel seguente
Anno la messe andò tanto feconda,
Che vinse di gran lunga ogni speranza,
Ogni desio di Contadino avaro.
Da quella volta in poi lasciò il Villano
D’ogni stagione, onde si volge l’anno.
E sempre quello in buona parte prese,
Così devrebbe ognun fidarsi in Dio,
Né chieder più da lui quello, che questo :
Ch’ei, cui nostro bisogno è manifesto,
Quel, che convien, ci dà benigno e pio.
Lascia di te la cura al Re ◀del Cielo,
Se vuoi viver contento al caldo, e al gelo.