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DEL VESPERTIGLIO, ET DELLA DONNOLA.
ERA caduto il Vespertiglio a terra
Uccel, che per natura odia la luce,
E senza piume sol di▶ notte vola,
Benché Nottola anchora il volgo il chiami,
Che sol de la Civetta è proprio nome.
Questi dunque giacendo in terra steso
Fu preso da la Donnola rapace,
Che volea divorarlo allhora allhora,
Che la movesse giustamente a questo.
Et mentre ei la pregava humilmente
Che de la vita gli facesse dono,
Senza gran fallo, essendo egli nimico
Di tutti gli altri augei, che intorno vanno,
De’ quali essa ministra era e soldato.
Allhora il Vespertiglio le rispose
Ch’augel non era ; et ciò provava a i segni
Del proprio corpo senza piume tutto,
E che del pel del Topo era vestito,
Con cui conformità per specie havea.
Udita tal ragion fu astretta allhora
La Donnola a lasciarlo irsene in pace.
Ma sendo un’altra volta a caso incorso
Nel pericolo stesso in man d’un’altra
Donnola, che mangiarselo volea ;
E supplicando a lei, che de la vita
Don gli facesse ; udì da quella, ch’essa
Non potea farlo con ragione alcuna,
Sendo egli un Topo, la cui specie sempre
De la sua propria fu crudel nimica :
Onde rispose il Vespertiglio allhora,
E l’ale a lei mostrando aperte e larghe,
Con cui per l’aria si levava a volo
Specie d’augello esser provava, e mai
Non essersi alcun Topo in parte alcuna
La Donnola non seppe allhora quale
Risposta dargli, et gir lasciollo anch’essa.
Così due volte d’un periglio stesso
Egli si tolse con ragion diversa
Ogni volta salvandosi la vita.
Far dee qualunque volta si ritrova
Del proprio stato in gran periglio posto :
E secondo il bisogno e l’occorrenza
Cangiar nell’oprar suo sermone e stile :
Ne i simili accidenti, e ne i diversi.
Chi brama ◀di schivar vario periglio,
Usi vario parlar, vario consiglio.