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DELLA LEPRE E LA TESTUGGINE.
VIDE la Lepre un dì con lento passo
La Testuggine andar per suo camino,
E cominciò sprezzarla sorridendo,
E mordendo con motti acerbi e gravi
La gran tardezza del suo pigro piede.
La Testuggine allhor di sdegno accesa
Al corso sfida la veloce Lepre :
Et ambedue per giudice del fatto
Chiamar d’accordo la sagace Volpe.
Or dato il segno, onde ciascuna havesse
A cominciar il destinato corso
Per giunger tosto a la prefissa meta,
La Lepre, che colei nulla stimava,
Si fé di mover piè sì poco conto
Vedendo la compagna tanto lenta,
Ch’a gran fatica par che muti loco,
Che addormentossi ; confidando troppo
Nella velocità del presto piede
Tutto l’honor de la presente impresa.
In questo la Testuggine, che ’l corso
Con solecito passo affrettò tanto,
Che giunse alfine al▶ terminato segno,
Di tutto quell’honor prendea la palma,
Quando la Lepre desta alfin s’accorse
Del preso error de la sua confidenza,
E colei riportarne il pregio tutto
Di quella impresa, si pentì, ma in vano
De l’arrogante negligenza sua.
Così fa spesso l’huom d’ingegno e forza
Dotato in concorrenza di colui,
Che molto inferior di ciò si vede,
Quando opra tenta, onde l’honore importi ;
Che confidato nella sua virtute
Pigro dorme a l’oprar continuo e lungo,
Sperando in breve spatio avanzar tutte
Le fatiche de l’altro, e ’l tempo corso :
Né s’accorge, ch’un sol continuo moto,
Benché debole sia, giunge ◀al suo fine
Più tosto assai, ch’un più gagliardo e lieve,
Che pigro giaccia, che la confidenza
A la sciocchezza è figlia, e a l’otio madre ;
Onde ne nasce l’infelice prole
Biasmo, e vergogna, e danno in ogni tempo.
Quinci con gran suo scorno intende e vede
Il suo rival, che debole seguendo
Con un continuar facile il passo
Nel camin di virtù, ch’a honor conduce,
A sé stesso precorso, e tor di mano
De la vittoria la felice palma
Da le fatiche de’ suoi lunghi studi
A poco a poco assai più forte reso :
Ond’ei quasi perduto haver si sente
Quell’antico vigor, ch’ardeva in lui
Per colpa sol de la pigritia nata
Da la sua negligenza infame e stolta,
Che pieno il fa d’un pentimento vile,
E d’una doglia sì malvagia e poltra,
Che non sa cominciar cosa che voglia,
Vedendo sé di sotto di gran lunga
A molti e molti, ch’ei nulla prezzava :
E tutto il resto di sua vita vive
Con tedio estremo assai peggio, che morto,
Senza speranza haver d’honore alcuno.
Ingegno e forza a chi non l’opra è nulla.