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DEL PAVONE, E DEL MERLO.
S’ERAN ridutti a general conciglio
Gli augelli tutti per crear tra loro
Un novo Re, che▶ la custodia havesse
De gli altri, e sopra lor dominio e regno.
Onde il Pavone gran broglio facea
D’esser quel desso, confidando assai
Nella bellezza de le varie penne
D’aureo color, e mille gemme tinte :
E di questo facendo altera mostra
Con lunga oratione in quel senato,
Ne i suoi suffragii, contentando ognuno
Quando tra gli altri se gli offerse innante
Il picciol Merlo da le nere piume,
E se gli oppose con simil parole.
Che tanto importa, sostener si possa
Da la vaghezza esterior del manto
E da le forze d’un ardito petto ?
Come faresti tu, se la superba
Aquila un giorno ci movesse guerra ?
Saria forse possente o la corona
Del tuo bel capo, o la gemmata coda,
A contrastar quel Re per tutti noi
Col rostro adunco, e co i feroci artigli
De la possanza sua rara et invitta ?
Cedi, misero, cedi a un altro il peso
Possa più degnamente in sorte haverlo,
Con sicurezza di noi tutti insieme,
E de la vita, e del tuo proprio honore.
Non seppe a tai parole usar risposta
Il Pavone, e restò tutto confuso :
E gli altri a far si dier novella eletta
D’altra persona di più nobil merto.
Altrui la cura de l’human governo,
La salute de’ popoli, e de’ regni
E posson con valor regger altrui,
E sostener di tanta impresa il pondo :
Lasciando lo splendor de le ricchezze,
E tutte l’altre esterior grandezze,
Mal pon regger sé stessi, e peggio altrui.
Ché così al mondo alfin regger si puote,
E la beltà, di cui vestita è l’alma,
Preceder deve a la beltà del volto,
Che nulla giova senz’interno merto.
Esser dee quel, ◀che regge, e saggio, e forte.