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DELL’AQUILA, E DEL CORVO.
L’AQUILA un giorno da una eccelsa rupe
Ratto calossi da la fame spinta
Di grasse agnelle in mezo un ampio gregge ;
E rapito un agnel ne i curvi artigli
Levossi, e via portollo, onde si tolse.
Il che vedendo il Corvo non lontano
De l’atto generoso emulo venne.
Quinci esso ancor per▶ far prova maggiore
Con strepito et stridor ratto si cala
Sopra un grosso monton ; nel folto velo
Di cui poscia il meschin l’ugne intricando,
L’ugne mal atte a così gran rapina,
Per prender altri alfin preso trovossi.
Perché il Pastor veduto lui su ’l dorso
De l’animal in van batter le penne
Per liberarne gl’intricati piedi,
V’accorre ; il prende ; e i troppo audaci vanni
Trattogli a sua maggior vergogna e danno
A i fanciulletti suoi ◀per giuoco diede.
Tal che restando spennacchiato il Corvo,
E in parte fuor de la sembianza prima,
Se domandato era qual fosse augello
Sempre rendeva altrui simil risposta.
Io prima inquanto al grande animo mio
Aquila fui : ma hor chiaro comprendo,
Ch’io son e a l’opre, e a quel, ch’io nacqui, un Corvo.
Questo non altro al savio inferir puote,
Se non ch’ognun, che temerario ardisce
Quella impresa tentar, ch’a la bassezza
Del suo grado e valor mal si conviene,
Sovente va d’ogni miseria al fondo :
E divenuto favola del volgo
Con suo danno e dolor schernito giace.
Ogni opra tua col tuo poter misura.