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DEL CERVO, E ’L CAVALLO, E L’HUOMO.
PASCEANO il Cervo, et il Cavallo insieme
Dentro un bel prato di novella herbetta
Per lunga usanza, e con invidia ognuno,
Che ’l compagno godesse un tanto bene,
E consumasse quella parte, ch’esso,
Se l’altro non ci fusse, havria per sua.
E tanto un giorno in lor crebbe il dispetto,
L’odio e la rabbia, che con pugna horrenda
Vennero insieme a discoperta guerra.
De laquale in più assalti il Cervo sempre
Restò vincente per la gran fortezza,
Ch’in fronte havea de le ramose corna.
Così▶ il Caval perdendo ognihor la pugna
Partì dolente a viva forza spinto
Da la pastura di quel sito ameno :
E cercando d’aiuto in quella guerra
Alcun, che soccorresse al suo bisogno,
Incontrò l’huomo ; a cui con prece humile
L’opra sua chiese. Ond’ei, che disegnato
Gran tempo haveva di soggetto farsi
Quell’animal per li servigi suoi,
Tosto pronto s’offerse in sua difesa :
Ma disse ; che, se ben d’ingegno e forza
Era bastante a superar il Cervo
Quando quel si fermasse a la battaglia :
Pur, quando ei si fuggisse, esso non era
Possente di seguir sì lieve corso :
Però mistier facea, ch’egli in sul dorso
Là nel portasse, ove trovando il Cervo
Non li giovasse la veloce fuga :
Et ch’a bisogno tal egli devea
Lasciarsi por da lui la sella, e ’l freno,
D’accomodarsi seco, e dargli il modo
D’intender la sua voglia ove il bisogno
Cercasse, ch’ei per lui volgesse il piede.
Il Cavallo ciò inteso, e dal desio
Di vincer l’inimico in ogni modo
Già cieco fatto a scorger più lontano
Di queste conditioni il dubbio fine,
Fé ciò, che volse l’huom : lasciossi porre
E sella e briglia ; e nel condusse in parte,
Ove fra poco spatio il Cervo altiero
Da le fort’armi, e da l’ingegno humano
Alfin restò miseramente ucciso.
Onde il Cavallo al fin de le sue voglie
Venuto homai, debite gratie rese
Di tal favor a l’huomo : e poi li chiese
Licenza per andarsi a goder solo
Quel prato ameno, il resto di sua vita
In dolce libertà passando lieto.
Ma l’huom, che già l’havea nelle sue mani,
E poteva domar a modo suo
De le forze di lui l’alto valore,
Disse : Che, s’egli in suo servitio havea
Tanto sudato, che vittorioso
Fatto l’havea del suo fiero nimico ;
Era ben degno ancor, ch’esso il servisse
Per qualche giorno in alcun suo bisogno,
E che non intendea per modo alcuno
Lasciarlo andar senza pagargli il costo
Di sue fatiche, e nel ritenne a forza
Sì, ch’ei rimase eternamente servo.
◀Così talhora un huomo, ch’è men forte
Del suo nimico, e che soccorso chiede
Ad huom, che più del suo nimico vale,
Dopo le sue vittorie alfin rimane
De la sua propria libertà perdente :
Che quel, che vinto ha il suo nimico, ch’era
Di lui più forte, assai più facilmente
Può vincer lui, di cui già possessore
Si sente, e haver tutte le forze in mano ;
Né vuol haver per altri indarno speso
Il valor proprio : ché raro si trova
Chi per un altro il suo metta a periglio,
Senza speranza di guadagno haverne.
Forza, che d’altrui pende, è vinta e serva.