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DEL TOPO GIOVINE, ET
la Gatta, e ’l Galletto.
UN Topo giovinetto uscì del buco,
Ove la madre non prima ch’allhora
Lasciato havea dal primo dì ch’ei nacque ;
Et incontrossi a caso in un Galletto
Et in un Gatto, che tosto che ’l vide
S’appiatò cheto in mezo del sentiero
Per aspettar il Topo, che pian piano
Incontra gli▶ venia per suo diporto :
E farne ad uso suo di lui rapina.
Ma il picciol Gallo, che lo scorse anch’esso,
Corse veloce dibattendo l’ali
Verso di quel sol per solazzo e scherzo.
Da cui già spaventato il picciol Topo
Per l’importuno et improviso moto
Diede a fuggirsi, e tornò tosto dove
Trovò la madre di sospetto piena,
Che la cagion del suo fuggir li chiese :
Ond’ei tremando a lei così rispose.
Veduto ho, madre, mentre a spasso i’ andava
Due animali ; l’uno è di colore
Simile al tuo nel pelo, ma distinto
Di varie macchie di color più oscuro :
Sembran di lucid’oro i suoi begli occhi,
Che sono al rimirar tutti pietosi :
Ha quattro piedi, et una lunga coda
Di vario pelo tinta insino al fine.
Et (quel che più mi piace in esso) è tanto
Mansueto al veder, tanto gentile,
Ch’a la mia vista non si mosse punto ;
Anzi fermossi in atto humile e pio
Quando mi vide, e mi diè gran baldanza
D’andargli presso, havendo io gran desire
Di meglio figurar suo bel sembiante.
Ma l’altro, che di quello è via minore,
Due piedi ha solo, et una cresta in capo
Qual sangue rossa ; e fieri occhi di foco ;
E veste il dosso suo di negre penne.
Hor questo tanto parmi empio e superbo,
Che non sì tosto da lontan mi scorse,
Che con orgoglio, qual non posso dirti,
Due ali aprendo con acuto strido,
Mi si fé incontra sì crudele e fiero,
Che tutto allhor m’empì d’alto spavento.
Io dal timor, ch’ei non mi divorasse,
Mi posi in fuga : et ei mai non restossi
Di seguitarmi pien di gridi e rabbia
Per fin che salvo a te pur mi condussi.
E questa è la cagion del mio spavento,
De la mia fuga, e del mio tanto affanno.
Allhor la madre, che ben chiaro intese
Quai fusser ◀gli animai da lui descritti,
In modo tale al suo figliuol rispose.
Ahi come, figlio, tua semplicitade
Te stesso inganna ; e non conosci anchora
Il ben dal male come quel, che sei
Pur dianzi uscito del mio ventre al mondo,
Et d’ogni esperienza ignudo e privo.
Sappi, che l’animal, che tanto humile
Prima ti parve, e di bontà ripieno,
È il più malvaggio, che si trovi in terra,
Perfido, iniquo, fiero, discortese,
E di tua specie natural nimico :
E sol ti si mostrava in vista humano
Sol per assicurar tua puritade
Di farsegli vicina, onde potesse
Dapoi satiar di te sua ingorda fame.
Però temi lui sempre, e non fidarti
Del suo falso sembiante in vista pio :
E tienti ben lontan da l’ugne sue,
Se non vuoi darti in man d’acerba morte.
E l’altro, che sì fiero e discortese
Tanto ti parve, e di nequitia pieno,
Semplice è come tu semplice sei,
Tutto benigno, e pien di scherzi vani ;
Né mai del sangue altrui si nutre e pasce :
E sol per giuoco incontra a te correa
Gridando per ischerzo un pezzo teco :
E poi lasciato havrebbe in pace andarti
Senza mai farti nocumento alcuno.
Dunque non dubitar di quel suo vano
Impeto, che ti sembra in vista rio :
E temi quel, che di lontan mostrossi
Al tuo semplice ardir tutto gentile.
Tal si deve temer l’huomo empio e falso,
Che fuor di santitate il volto veste,
E di lupo rapace ha dentro il core ;
E tacer suole, o con parole pie
Adombrar de la sua perfida mente
L’iniqua voglia d’ingiustitia piena :
Ma non colui, che favellando altero
Talhor si mostra, e per costume vano
Superbo in vista : che da l’opre poi,
Se con modo prudente hai da far seco,
Tutto te ’l troverai benigno e pio.
Che talhor sembra un huomo in volto un santo,
Ch’un Diavolo è poi se ’l miri a l’opre :
E spesso un, che par rio nel fronte, copre
Ogni bontà del cor sotto al bel manto.
Non giudicar dal volto il buono, o ’l rio.