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D’UN HUOMO, ET UN SATIRO.
UN huom di▶ Villa e un Satiro silvestre
D’assai stretta amicitia eran congiunti,
Onde acciò più crescesse il loro amore
Cominciaro anco ad habitar insieme.
Et sendo un giorno a la campagna usciti
Su la stagion del più gelato Verno ;
L’huom, che dal freddo havea le man sì morte,
Che risentir non le poteva a pena,
Spesso col fiato ravvivar solea
Il quasi spento in lor natio calore.
E domandato dal compagno allhora
De la cagion, perch’ei così facesse,
Rispose, che col caldo, che gli usciva
Nel fiato fuor da la virtù del core,
Dava ristoro a l’agghiacciate mani.
Poi giunti alfine al consueto albergo,
Sedero a mensa per cenar insieme :
E d’una gran polenta, che dal foco
Posta s’haveano allhor allhora inanzi,
A pascer cominciar le stanche membra.
Del troppo caldo incominciato pasto,
L’huomo col fiato a raffreddar si diede,
Soffiando ognihor l’insopportabil cibo.
Da quello inteso, che scaldar poteva
Stupido pur che fredda a lui paresse
Quella pur troppo allhor calda vivanda ;
Lo ricercò de la cagione anchora.
Et ei rispose, ch’egli havea dal fiato
Ch’era nocivo al lor bramoso gusto.
Allhor colui da meraviglia preso,
E da un suo certo a lui sano rispetto
In cotal modo a l’huom sdegnoso disse.
Frate dapoi, che da tua bocca io veggio
Il caldo, e ’l freddo uscir con egual modo,
Non vo’ più consentir d’esserti amico ;
E dal tuo conversar tosto mi toglio.
Da questo ogn’huom, ch’è savio, esempio prenda
Soglion mostrarsi a chi seco conversa :
Sono vuoti d’amor, ◀di fede scarsi ;
Né conto fanno de l’amore altrui,
Ma sprezzano egualmente il buono e ’l rio :
Et a l’occasion sembrano amici
Per trar talhor d’altrui profitto alcuno ;
E poi ne lascian la memoria al vento ;
E ne rendono in cambio ingiuria e biasmo,
Quando del lor bisogno al fin son giunti.
Prezza colui, che sempre amor ti mostra.