A I LETTORI.
DEL PADRE, E DEL FIGLIUOLO,
che menavan l’asino.
UN vecchio et un garzon padre e figliuolo
Un Asinel menavano al mercato
Per venderlo, et uscir d’affanni e duolo.
Il caminar a piedi era lor grato,
Né▶ ’l debole animal di peso alcuno,
Perch’ei non si stancasse, havean gravato.
Ma ecco tosto motteggiarli ognuno,
Che con l’Asino scarco issero a piedi,
Con un parlar inutile importuno.
Or disse il giovinetto al padre : vedi
Padre, come ch’ognun di noi sen ride
Per l’Asino, che scarco esser concedi.
Però montavi sopra ; e tante stride
Cesseran tosto ; e farai giusto inganno
A questa lunga via, c’homai t’uccide.
Il Vecchio stanco l’ubidisce ; et vanno
Così per breve spatio al lor camino :
E trovan nove risa, e novo affanno.
Già senton dir da ognun per quel confino,
O che discretion d’huomo saputo,
Ch’a piedi lascia quel garzon mischino.
Udito spesso il padre un tal saluto,
Scese de l’Asinello, e disse al figlio ;
Montavi tu, ché così è ben dovuto.
Ché così cesserà tanto bisbiglio
De la gente, che passa, e che mi vede
Di tua salute haver poco consiglio.
Il figlio tosto ubidiente cede
A le parole del suo buon parente,
E fa quel, ch’ei gli dice, e ’l meglio crede.
Ma così andando trovan nova gente,
Che biasma, che quel giovine a cavallo
Camini, e a piedi il vecchio dispossente.
Ciò non paresse, consigliando il vecchio,
Ch’anch’ei s’accomodasse afflitto e giallo.
Subito diede a tal consiglio orecchio
L’huom rozo, e gli parea questo il più saggio,
E d’huom, che fosse di prudenza specchio.
Onde credeano in pace a tanto saggio
D’openioni altrui varie e diverse
Ambi fornir il resto del viaggio.
Così due pesi l’Asinel sofferse,
Il padre su le spalle, il figlio in groppa,
Fin che trovò chi l’occhio in lui converse.
Mentre sì carco l’animal galloppa
Ecco il primo, che ’l vede, a gran pietade
Mosso di lui, che in ogni sasso intoppa.
E con cor pien d’amor e caritade
Dice : deh non vi move a compassione
Questo Asinel, ch’ad ogni passo cade ?
Certo c’havete poca discretione ;
Non vi deve esser caro, s’egli è vostro ;
O sete ingrati, s’è d’altrui ragione.
Non comprendete voi, che strano mostro
Parete a chi vi mira in questa forma ?
A vostra utilità questo vi mostro.
Stupido il Vecchio allhor allhor s’informa
Del discorde giudicio de le genti,
Ch’a tutte l’opre dan precetti e norma.
E per provar se tutti far contenti
Potea pur, prese alfin novo partito,
Onde tanti parer fossero spenti.
E scendendo col figlio, anch’ei smarrito,
Da le riprension, c’havea lor fatto
Il popol vario al dar sentenze ardito,
Legò con una fune affatto affatto
I piedi a due a due de l’Asinello,
E tra lor fecer di portarlo patto.
Così pensando al dir di questo e quello
Por freno, e far cessar tanta rampogna,
Che sovente rompea loro il cervello.
Or mentre sopra un palo ognuno agogna
Portarlo, a la Cittade homai vicini
Ecco novo mistier tentar bisogna.
S’aduna intorno da tutti i confini
La turba immensa de le genti sparse
Sì de la Terra, come pellegrini
A lo spettacol novo, che comparse
Non senza riso universal di tutti,
Che lo mirar tosto che prima apparse.
Veduto il vecchio del rimedio i frutti
Esser sol burle e scherni al pensier novo,
E i suoi disegni ognihor restar distrutti,
Tosto disse tra sé : poi che non trovo
Modo, ond’io possa ognun render contento,
Con giusta causa a far questo mi movo.
E sendo sopra un ponte in quel momento
Qual disperato il mal nato animale
Gettò nel fiume per minor tormento.
Così fa l’huomo a sé medesmo male,
Che far contento ognun pensa e s’ingegna
Perché in natura tal discordia regna,
Che se là s’odia il rio, qua s’odia il giusto,
E in altra parte e questo e quel si sdegna.
Vario è ’l parer d’ogni huom, diverso il gusto :
Ognun de la sua voglia si compiace ;
Chi loda il pan mal cotto, e chi l’adusto,
◀Né pur Venere stessa a tutti piace.
Chi vuol de l’oprar suo far pago ognuno
Sé stesso offende, e non contenta alcuno.