(1779) Trattato teorico-prattico di ballo « Trattato teorico-prattico di ballo — Avvertimento »
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(1779) Trattato teorico-prattico di ballo « Trattato teorico-prattico di ballo — Avvertimento »

Avvertimento

Al cortese lettore.

[1] Appena mi venne in pensiero di pubblicare il presente trattato, che formai subito grave sospetto di dover soggiacere alla sferza de’ critici impegnati da’ miei emoli per discreditarmi. Infatti non erasi ancora terminata la stampa, che si fece da loro comparir in iscena il meschino ed oscuro Francesco Sgai, al quale avendo addossata la sopraveste di riflessionista, diedero in suo nome contro a me uno scostumatissimo famoso libelloh. In legger io quelle insipide riflessioni, conobbi che vigor non aveano di recare almen piccolo discredito al mio trattato, e non mi ritrassi dal proseguirne la stampa. Vi presento adunque questa mia opera tale quale fu da me composta prima delle riflessioni, e stimo soltanto necessario prevenirvi con poche parole sulla natura e condizione di quelle.

[2] Si attacca primieramente il frontespizio del mio trattato, per avergl’io dati l’aggiunti di Teorico-pratico, volendo far supporne che mal gli si convenga quel di teorico, a motivo che non sia della mia levatura trattar l’arte per teorie. È questa una temerità che non può nascere se non dal fondo dell’ignoranza. In tutte le arti, la pratica è necessaria figlia della teoria; e laddove questa s’ignori, non può farsene esercizio di quella. Può essere taluno buon teorico, ma cattivo pratico: è impossibile però che sia buon pratico, quando non lo è perfetto teorico. Della mia espertezza nel ballo, senza che si attenda la maligna voce del riflessionista, n’è testimonio il pubblico, all’imparzial giudizio di cui ben volentieri mi sottometto. Non potrà per tanto far meraviglia, che io mi sia accinto ad esporre quelle idee che mi somministrò l’esperienza e la lettura delle migliori opere su questa materia. Se vi sia felicemente riuscito, doveano deciderlo i professori più avveduti dopo la pubblicazione del mio trattato, e non potea, senza marca di vergognosa baldanza, prevenire il riflessionista la decision di costoro.

[3] Si scaglia poi contro a’ titoli attribuitimi nel medesimo frontespizio e con una ridicola parafrasi pretende caricarmi di presuntuosa arrogazione delle cariche altrui. Io venero i professori che attualmente le disimpegnano. Sono nelle loro persone degnamente collocate; ma non provarono svantaggio quando furono disimpegnate da me. In tempo che si stampò il mio trattato io era nell’esercizio di quelle cariche, e con giustizia me ne ho attribuiti i titoli: di che potea il riflessionista averne buon argomento dalla dedicatoria da me diretta a’ Signori Cavalieri Accademici, scrivendo a’ quali sarebbe stato pericoloso assumere il carattere di Direttore de’ loro balli se non lo fossi stato, potendomene essi far rimanere vergognosamente smentito.

[4] Passa indi a censurare la mia prefazione, e si impegna a far supporre che altri l’abbia scritta in mio nome. Non reca però alcuna pruova generica o specifica di questo plagio; ma si divertisce con maldicenze e buffonesche espressioni.

[5] Si mette in aria d’antiquario e addita le primi origini della danza che da me furono con giudizio lasciate alle ricerche de’ letterati. Io non entro ad esaminare se abbia saputo trarne da quei tempi caliginosi la verità; ma dico soltanto che tali squittinii dimostrano l’ozio torpido del riflessionista, niun utile recano a’ coltivatori del ballo e sono del tutto impropri in un libricciuolo di mala intesa censura. Io non pretesi mai d’emular la gloria de’ dottissimi investigatori delle antichità Greche e Romane. Limitai i miei talenti a migliorar la propria professione, e mi lusingo d’averle date non mediocre profitto. Che il ballo siasi inventato dai Coribanti in Frigia o dai più vecchi regnanti d’Egitto è per me indifferente, e lo sarà per tutti i ballanti del mondo. Premeva solo a me di additare le origini d’alcune danze, onde venisse in miglior maniera illustrata la loro pratica. M’arreca però meraviglia che il presuntuoso riflessionista, assumendo l’impegno di mostrarne la prima derivazione, abbia poi terminate le inettissime sue ricerche col confessare quel che avea io già confessato, che del ballo è onninamente ignota l’origine.

[6] In un trattato di ballo avrebbe desiderata la purità e nettezza della lingua toscana. Questo è non saper le regole della Critica, ed infatti il riflessionista le ignorò bruttamente: imperciocché invece di scrivere una critica che dovea per sua natura esser dolce, benigna e urbana, scrisse una satira livorosa, impudente e scostumata. Il vero critico avrebbe nel mio trattato cercate le cose, non le parole. Stultum ac supinum, dicea il vecchio Scaligerorebus relictis, consenescere in verbis. Nell’additar le regole della danza non mi posi io davanti il vocabolario della Crusca, ma la proporzione, la decenza, l’intreccio, la bellezza e i mezzi della necessaria agilità. Sopra di questi dovea egli far risplendere la sua perizia e l’ingegno, e non perdere carta e tempo in andar notomizzando le frasi e voci toscane.

[7] In qualunque maniera mi sia spiegato, è sufficiente che mi sia fatto intendere, nulla importando che per «vengasi» si trovi scritto «venghisi», e per «atteggiamento» si legga «atteggio». Del resto il Critico non dee difettare sulla materia che critica. Io son sicuro che niuno volgerà gli occhi a quelle irragionatissime riflessioni: ma se talun venga tratto dalla curiosità, rimarrà stomacato dai tanti barbarismi, solecismi, idiotismi ed abusi di parole che a prima mano si veggono sparsi dal supposto Fiorentino in quelle poche carte con cui deturpò l’onor delle stampe. Avrei desiderato che si fossero da lui emendate, corrette, o in miglior forma spiegate le regole dell’arte che io esposi. Ma non entrò in questa briga, forse, e senza «forse», perché non l’aiutò l’espertezza. Va notando alcune picciole cose, le quali giova che io qui chiami a revista per far vedere quanto scioccamente abbia adempiuto al dovere di critico.

[8] Mi censura d’aver prescritta una troppo caricata situazion del principiante, e vuol dare ad intendere che in questa parte non debba farsi violenza alla natural positura. Chi ha fior di senno capisce quanto sia questa indulgenza nociva allo spirito dell’arte, la quale assolutamente ricerca nel ballerino una decenza non affettata, ch’è quella appunto che io ricercai. Lasciate il corpo nelle sue difettose situazioni e più non vi saranno regolarità di passi, bellezza di movimenti, e si muoverà lo stomaco agli spettatori.

[9] Gli dispiace che io voglia il musicale strumento servo del principiante, oppinando che in tal maniera mai non si avvezzerà di ballare col tempo. Ma questo è un argomento della poca cognizione che il riflessionista ha dell’uomo. Chi principia l’applicazione ad un’arte vuol esser quasi condotto per mano, ed avvezzavisi a poco a poco. La rigorosa e non interrotta sonata renderà ineseguibile la danza, piuttosto che faciliterà la misura de’ passi al principiante, il quale, dovendo imparar prima i passi, non potrà esser costretto ad imparar nel tempo stesso la regola delle cadenze e del tempo. Quando nell’insegnare non si usa ordine e sistema, si ricava molta confusione e poco profitto.

[10] Dileggia i requisiti che io descrivo come necessari al ballerino. Gli fanno orrore le arti e le scienze che io richieggo, e mostra nausea delle doti del corpo. Ogni arte suppone i suoi particolari conoscimenti. Qualora questi s’ignorano, non si diverrà professore giammai. Quei che furono da me additati, tanto son necessari al ballerino che, non avendoli, non potrà dirsi tale. Siccome la poesia è una pittura parlante, così la danza è una poesia moventesi. Sarà buon poeta un che sa fare solamente de’ versi? mai no; dunque non sarà similmente buon danzatore chi sa solamente muovere i piedi. Chi li muove con regola, con simmetria, con giudizio, con proporzione, chi adatterà i suoi movimenti al vero, al verisimile, all’opportuno, chi inventerà nuove e sorprendenti e piacevoli cose sarà l’ottimo ballerino. Tutto questo non potrà farsi, se non avrà qualche tintura di poesia, di geometria, musica, storia, filosofia, geografia e mitologia; e son queste le facoltà che richiesi.

[11] Esaminando il resto de’ miei principi che riguardano l’indole de’ passi e movimenti, altro non seppe dire che la formazione d’alcuni di questi è arbitraria, secondo la scuola moderna. L’arbitrio non ha scuola, e chi ammette la scuola uopo è che sottometta l’arbitrio alle leggi della scuola medesima. Chi va cercando un Maestro per eseguir l’arte a proprio arbitrio? Dovea dunque il riflessionista dimostrare che risulti indecenza dalla regolata maniera de’ movimenti e de’ gesti da me prescritta, e corriggerla additandone un’altra. La Critica dee esser fruttuosa. Scovrendosi uno sbaglio, deve proporsi la correzione, essendo opera da sciocco il dir «questo non va bene», e non additar il come potrebbe andar meglio.

[12] Finalmente si sdegna meco per aver segnate le traccie d’alcuni valenti professori di ballo e trascritti i lor sentimenti. L’arte del ballo non usciva per la prima volta dalle mie mani. Altri ne trattarono prima e molti ne tratteranno dopo di me. Era necessità ch’io mi servissi dei pensieri altrui, avendoli ritrovati giudiziosi e giusti, e in tali incontri ho confessato ingenuamente da chi li ho tratti. Un dotto scrittor latino dicea ingenui pudoris est fateri per quos didiceris i. Non mi sono brigato però d’affastellare, come fece il riflessionista, tanti tronchi frammenti d’antichi Autori, per dar a divedere la sua molta e varia lettura. Il pubblico non vuol’essere così barbaramente stancato. E Plauto, e Terenzio, e Fedro, e Cicerone, e Marziale han tanto che far col ballo quanto i granchi colla luna; e poi è una vergognosa pedanteria framischiar latini motteggi al favellar italiano.

[13] La mia intenzione fu di dar un compiuto trattato a’ dilettanti. Se rimasi tradito dall’esito, non è colpa di volontà. L’umano intendimento ha i limiti suoi. Mi sono sforzato non però d’introdurne nel ballo quella bellezza ch’è diretta. Non piacque al riflessionista, poco, anzi nulla debbo curarmene, perché non è egli Giudice competente di somiglievoli contese. Quando l’opera mia verrà nelle mani dei buoni e disappassionati intendenti, riceverò di buon’animo le modeste correzioni. Nella vita sociale deve darsi il primo luogo a Messer Galateo. Comunque non però siffatte correzioni s’imprendano, il mio cortese leggitore farà nella prevenzione che l’idee del ballo siccome son rinserrate nell’umano intendimento, così, ancorché bene si concepiscano, possono esser male rappresentate o male intese da chi entra a leggere commosso ed agitato dalla tirannica passion del partito. Vivi felice.