Domenico una d’un Crucifisso, la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello, ma sì bene di Pietro. […] Dopo queste opere fu forzato Raffaello a partirsi di Firenze et andare a Urbino, per aver là, essendo la madre e Giovanni suo padre morti, tutte le sue cose in abandono. […] Fra costoro è un Diogene con la sua tazza a ghiacere in su le scalèe, figura molto considerata et astratta, che per la sua bellezza e per lo suo abito così aùccaso è degna d’essere lodata. […] Et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo; e similmente un quadro di Nostra Donna che egli mandò a Fiorenza: il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per tavola dell’altare, et in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliuolo, di tanta bellezza ne l’ignudo e nelle fat[t]ezze del volto che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda; senzaché Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell’aria di una Vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia e nella bocca virtù, senzaché l’abito suo è tale che [II. 78] mostra una semplicità et onestà infinita: e nel vero io non penso che per tanta cosa si possa veder meglio. […] Fu data al corpo suo quella onorata sepoltura che tanto nobile spirito aveva meritato, perché non fu nessuno artefice che dolendosi non piagnesse, et insieme alla sepoltura non l’accompagnasse.