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1. (1568) Vita di Raffaello

In ultimo, conoscendo questo buono et amorevole padre che poco poteva appresso di sé acquistare il figliuolo, si dispose di porlo con Pietro Perugino, il quale, secondo che gli veniva detto, teneva in quel tempo fra i pittori il primo luogo. […] E questo avvenne perché Bramante da Urbino, essendo a’ servigi di Giulio II, per un poco di parentela ch’aveva con Raffaello e per essere di un paese medesimo, gli scrisse che aveva operato col Papa, il quale aveva fatto fare certe stanze, ch’egli potrebbe in quelle mostrar il valor suo. […] Egli dunque, avendo nella sua fanciullezza imitato la maniera di Pietro Perugino suo maestro, e fattala molto migliore per disegno, colorito et invenzione, e parendogli aver fatto assai, conobbe, venuto in migliore età, esser troppo lontano dal vero: perciò che vedendo egli l’opere di Lionardo da Vinci, il quale nell’arie delle teste, così di maschi come di femmine, non ebbe pari, e nel dar grazia alle figure e ne’ moti superò tutti gl’altri pittori, restò tutto stupefatto e maravigliato; et insomma piacendogli la maniera di Lionardo più che qualunche altra avesse veduta mai, si mise a studiarla, e lasciando, se bene con gran fatica, a poco a poco la maniera di Pietro, cercò, quanto seppe e poté il più, d’imitare la maniera di esso Lionardo. […] E nel vero, chi non impara a buon’ora i buoni principii e la maniera che vuol seguitare, et a poco a poco non va facilitando con l’esperienza le difficultà dell’arti, cercando d’intendere le parti e metterle in pratica, non diverrà quasi mai perfetto: e se pure diverrà, sarà con più tempo e molto maggior fatica. […] Il medesimo ha fatto ai giorni nostri, e poco fa, Iacopo da Puntormo, e si è veduto per isperienza in molti altri, come si è detto e come si dirà.

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