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1. (1568) Vita di Raffaello

Laonde si può dire sicuramente che coloro che sono possessori di tante rare doti quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è così lecito dire, dèi mortali; e che coloro che nei ricordi della fama lasciano quaggiù fra noi mediante l’opere loro onorato nome, possono anco sperare d’avere a godere in cielo condegno guidardone alle fatiche e merti loro. […] E perché sapeva Giovanni quanto importi allevare i figliuoli non con il latte delle balie ma delle proprie madri, nato che gli fu Raffaello, al quale così pose nome al battesimo con buono augurio, volle, non avendo altri figliuoli, come non ebbe anco poi, che la propria madre lo allattasse, e che più tosto ne’ teneri anni aparasse in casa i costumi paterni che per le case de’ villani e plebei uomini men gentili o rozzi costumi e creanze. […] Domenico una d’un Crucifisso, la quale, se non vi fusse il suo nome scritto, nessuno la crederebbe opera di Raffaello, ma sì bene di Pietro. […] E nel vero che l’altre pitture, pitture nominare si possono, ma quelle di Raffaello cose vive, perché trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alle figure sue e vivacità viva vi si scorge; per il che questo li diede, oltra le lodi che aveva, più nome assai. […] E se Raffaello si fusse in questa sua detta maniera fermato, né avesse cercato di aggrandirla e variarla per mostrare che egli intendeva gl’ignudi così bene come Michelagnolo, non si sarebbe tolto parte di quel buon nome che acquistato si aveva; perciò che gli ignudi che fece nella camera di torre Borgia, dove è l’incendio di Borgo Nuovo, ancora che siano buoni, non sono in tutto eccellenti.

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