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3. (1568) Vita di Raffaello

Il quale quadro fu da Lorenzo Nasi tenuto con grandissima vene[II. 67]razione mentre che visse, così per memoria di Raffaello, statogli amicissimo, come per la dignità et eccellenza dell’opera; ma capitò poi male quest’opara l’anno 1548 a dì 17 novembre, quando la casa di Lorenzo, insieme con quelle ornatissime e belle degl’eredi di Marco del Nero, per uno smottamento del monte di San Giorgio rovinarono insieme con altre case vicine; nondimeno, ritrovati i pezzi d’essa fra i calcinacci della rovina, furono da Batista, figliuolo di esso Lorenzo, amorevolissimo dell’arte, fatti rimettere insieme in quel miglior modo che si potette. […] Onde tal vista fu cagione che in Santo Agostino, sopra la Santa Anna di Andrea Sansovino in Roma, Rafaello sùbito rifacesse di nuovo lo Esaia profeta che ci si vede, che digià lo aveva finito; nella quale opera, per le cose vedute di Michele Agnolo, migliorò et ingrandì fuor di modo la maniera e diedele più maestà; per che nel veder poi Michele Agnolo l’opera di Raffaello, pensò che Bramante, com’era vero, gli avesse fatto quel male innanzi per fare utile e nome a Rafaello. […] Questa tavola finita del tutto, ma non condotta ancora al suo luogo, fu vicinissima a capitar male, perciò che, secondo che e’ dicono, essendo ella messa in mare per essere portata in Palermo, una orribile tempesta percosse ad uno scoglio la nave che la portava, di maniera che tutta si aperse, e si perderono gli uomini e le mercanzie, eccetto questa tavola solamente, che così incassata come era fu portata dal mare in quel di Genova: dove ripescata e tirata in terra, fu veduta essere cosa divina, e per questo messa in custodia, essendosi mantenuta illesa e senza macchia o difetto alcuno, perciò che sino alla furia de’ venti e l’onde del mare ebbono rispetto alla bellezza di tale opera; della quale divulgandosi poi la fama, procacciarono i monaci di riaverla, et appena che con favori del Papa ella fu renduta loro, che satisfecero, e bene, coloro che l’avevano salvata.

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