Era in una lo incendio di Bo[r]go Vec[II. 80]chio di Roma, che non possendosi spegnere il fuoco, San Leone IIII si fa alla loggia di palazzo, e con la benedizzione lo estingue interamente: nella quale storia si veggiono diversi pericoli figurati. Da una parte vi sono femmine che dalla tempesta del vento, mentre elle portano acqua per ispegnere il fuoco con certi vasi in mano et in capo, sono aggirati loro i capegli et i panni con una furia terribilissima; altri che si studiano buttare aqua, accecati dal fummo non cognoscono se stessi. Dall’altra parte v’è figurato, nel medesimo modo che Vergilio descrive che Anchise fu portato da Enea, un vecchio ammalato, fuor di sé per l’infermità e per le fiamme del fuoco; dove si vede nella figura del giovane l’animo e la forza et il patire di tutte le membra dal peso del vecchio abbandonato adosso a quel giovane; séguitalo una vecchia scalza e sfibbiata che viene fuggendo il fuoco, et un fanciulletto gnudo loro innanzi. Così dal sommo d’una rovina si vede una donna ignuda tutta rabbuffata, la quale avendo il figliuolo in mano, lo getta ad un suo che è campato dalle fiame e sta nella strada in punta di piede a braccia tese per ricevere il fanciullo in fasce: dove non meno si conosce in lei l’affetto del cercare di campare il figliuolo che il patire di sé nel pericolo dello ardentissimo fuoco che la avvampa; né meno passione si scorge in colui che lo piglia per cagione d’esso putto che per cagion del proprio timor della morte. Né si può esprimere quello che si imaginò questo ingegnosissimo e mirabile artefice in una madre che, messosi i figlioli innanzi, scalza, sfibbiata, scinta e rabbuffato il capo, con parte delle veste in mano, gli batte perché e’ fugghino dalla rovina e da quello incendio del fuoco.