Èvvi Monte Mario che abrucia, mostrando che nel fine della partita de’ soldati gli aloggiamenti rimangono sempre in preda alle fiamme. […] Onde facendogli Agostin Ghigi, amico suo caro, dipignere nel palazzo suo la prima loggia, Raffaello non poteva molto attendere a lavorare per lo amore ch’e’ portava ad una sua donna; per il che Agostino si disperava di sorte, che per via d’altri e da sé e di mezzi ancora operò sì, che appena ottenne che questa sua donna venne a stare con esso in casa continuamente in quella parte dove Raffaello lavorava: il che fu cagione che il lavoro venisse a fine. […] Ho voluto quasi nella fine di questa Vita fare questo discorso per mostrare con quanta fatica, studio e diligenza si governasse sempre mai questo onorato artefice, e particolarmente per utile degl’altri pittori, acciò si sappiano difendere da quelli impedimenti dai quali seppe la prudenza e virtù di Raffaello difendersi. […] E ciò faceva egli non senza onorato proposito, perché avendo tanti anni servito la corte et essendo creditore di Leone di buona somma, gli era stato dato indizio che alla fine della sala che per lui si faceva, in ricompensa delle fatiche e delle virtù sue il Papa gli avrebbe dato un capèllo rosso, avendo già deliberato di farne un buon numero, e fra essi qualcuno di manco merito che Raffaello non era. […] Ora a noi, che dopo lui siamo rimasi, resta imitare il buono, anzi ottimo modo da lui lasciatoci in esempio, e, [II. 88] come merita la virtù sua e l’obligo nostro, tenerne nell’animo graziosissimo ricordo e farne con la lingua sempre onoratissima memoria; ché invero noi abbiamo per lui l’arte, i colori e la invenzione unitamente ridotti a quella fine e perfezzione che appena si poteva sperare: né di passar lui già mai si pensi spirito alcuno.