E così venuto a Firenze, dove attese con incredibile fatica agli studî dell’arte, fece il cartone per la detta cappella con animo d’andare, come fece, quanto prima gli venisse in acconcio, a metterlo in opera. […] Ora, avendo raccontate l’opere di questo eccellentissimo artefice, prima che io venga a dire altri particolari della vita e morte sua, non voglio che mi paia fatica discorrere alquanto per utile de’ nostri artefici intorno alle maniere di Raffaello. Egli dunque, avendo nella sua fanciullezza imitato la maniera di Pietro Perugino suo maestro, e fattala molto migliore per disegno, colorito et invenzione, e parendogli aver fatto assai, conobbe, venuto in migliore età, esser troppo lontano dal vero: perciò che vedendo egli l’opere di Lionardo da Vinci, il quale nell’arie delle teste, così di maschi come di femmine, non ebbe pari, e nel dar grazia alle figure e ne’ moti superò tutti gl’altri pittori, restò tutto stupefatto e maravigliato; et insomma piacendogli la maniera di Lionardo più che qualunche altra avesse veduta mai, si mise a studiarla, e lasciando, se bene con gran fatica, a poco a poco la maniera di Pietro, cercò, quanto seppe e poté il più, d’imitare la maniera di esso Lionardo. […] E nel vero, chi non impara a buon’ora i buoni principii e la maniera che vuol seguitare, et a poco a poco non va facilitando con l’esperienza le difficultà dell’arti, cercando d’intendere le parti e metterle in pratica, non diverrà quasi mai perfetto: e se pure diverrà, sarà con più tempo e molto maggior fatica. […] Ho voluto quasi nella fine di questa Vita fare questo discorso per mostrare con quanta fatica, studio e diligenza si governasse sempre mai questo onorato artefice, e particolarmente per utile degl’altri pittori, acciò si sappiano difendere da quelli impedimenti dai quali seppe la prudenza e virtù di Raffaello difendersi.