Delle quali figure non potrebbe pittor alcuno formar cosa più leggiadra né di maggior perfezzione, avvengaché nell’aria e in cerchio son figurati que’ Santi a sedere, che nel vero, oltra al parer vivi di colori, scortano di maniera e sfuggono che non altrimenti farebbono s’e’ fussino di rilievo: oltra che sono vestiti diversamente con bellissime pieghe di panni, e l’arie delle teste più celesti che umane, come si vede in quella di Cristo, la quale mostra quella clemenza e quella pietà che può mostrare agli uomini mortali divinità di cosa dipinta. […] La quale invenzione [II. 75] avendola fatta Raffaello sopra la finestra, viene a esser quella facciata più scura, avvengaché quando si guarda tal pittura ti dà il lume nel viso, e contendono tanto bene insieme la luce viva con quella dipinta co’ diversi lumi della notte, che ti par vedere il fumo della torcia, lo splendor dell’Angelo, con le scure tenebre della notte sì naturali e sì vere che non diresti mai che ella fussi dipinta, avendo espresso tanto propriamente sì difficile imaginazione. […] Et a Bindo Altoviti fece il ritratto suo quando era giovane, che è tenuto stupendissimo; e similmente un quadro di Nostra Donna che egli mandò a Fiorenza: il qual quadro è oggi nel palazzo del duca Cosimo nella cappella delle stanze nuove e da me fatte e dipinte, e serve per tavola dell’altare, et in esso è dipinta una Santa Anna vecchissima a sedere, la quale porge alla Nostra Donna il suo Figliuolo, di tanta bellezza ne l’ignudo e nelle fat[t]ezze del volto che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda; senzaché Raffaello mostrò nel dipignere la Nostra Donna tutto quello che di bellezza si può fare nell’aria di una Vergine, dove sia accompagnata negli occhi modestia, nella fronte onore, nel naso grazia e nella bocca virtù, senzaché l’abito suo è tale che [II. 78] mostra una semplicità et onestà infinita: e nel vero io non penso che per tanta cosa si possa veder meglio. […] Fece similmente il duca Lorenzo e ‘l duca Giuliano, con perfezzione non più da altri che da esso dipinta nella grazia del colorito; i quali sono appresso agli eredi di Ottaviano de’ Medici in Fiorenza. […] E perché la volta di questa stanza era dipinta da Pietro Perugino suo maestro, Raffaello non la volse guastar per la memoria sua e per l’affezzione ch’e’ gli portava, sendo stato principio del grado che egli teneva in tal virtù.