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1. (1568) Vita di Raffaello

Laonde si può dire sicuramente che coloro che sono possessori di tante rare doti quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è così lecito dire, dèi mortali; e che coloro che nei ricordi della fama lasciano quaggiù fra noi mediante l’opere loro onorato nome, possono anco sperare d’avere a godere in cielo condegno guidardone alle fatiche e merti loro. […] E oltra le minuzie delle considerazioni, che son pure assai, vi è il componimento di tutta la storia, che certo è spartito tanto con ordine e misura che egli mostrò veramente un sì fatto saggio di sé, che fece conoscere che egli voleva, fra coloro che toccavano i pennelli, tenere il campo senza contrasto. […] Èvvi una Santa Cecilia che da un coro in cielo d’Angeli abbagliata, sta a udire il suono, tutta data in preda alla armonia, e si vede nella sua testa quella astrazzione che si vede nel viso di coloro che sono in estasi; oltra che sono sparsi per terra instrumenti musici che non dipinti ma vivi e veri si conoscono, e similmente alcuni suoi veli e vestimenti di drappi d’oro e di seta, e sotto quelli un ciliccio maraviglioso. […] Dicesi ch’era tanta la cortesia di Raffaello, che coloro che muravano, perché egli accomodasse gli amici suoi, non tirarono la muraglia tutta soda e continuata, ma lasciarono sopra le stanze vecchie da basso alcune aperture e vani da potervi riporre botti, vettine e legne; le quali buche e vani fecero indebilire i piedi della fabbrica, sì che è stato forza che si riempia dappoi, perché tutta cominciava ad aprirsi. […] Oltre ciò, quando basta il fare, non si dee cercare di volere strafare per passare innanzi a coloro che, per grande aiuto di natura e per grazia particolare data loro da Dio, hanno fatto o fanno miracoli nell’arte: perciò che chi non è atto a una cosa, non potrà mai, et affatichisi quanto vuole, arivare dove un altro con l’aiuto della natura è caminato agevolmente.

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