E allato a una figura che volta il didietro et ha una palla del cielo in mano è il ritratto di Zoroastro, et allato a esso è Raffaello maestro di questa opera, ritrattosi da sé medesimo nello specchio: questo è una testa giovane e d’aspetto molto modesto, acompagnato da una piacevole e buona grazia, con la berretta nera in capo. […] E per cominciarmi da un capo, quivi è Ovidio, Virgilio, Ennio, Tibullo, Catullo, Properzio et Omero, che cieco, con la testa elevata cantando versi, ha a’ piedi uno che gli scrive; vi sono poi tutte in un gruppo le nove Muse et Appollo, con tanta bellezza d’arie e divinità nelle figure che grazia e vita spirano ne’ fiati loro; èvvi la dotta Safo et il divinissimo Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi sono, il Tibaldeo similmente et infiniti altri moderni. […] Da una parte vi sono femmine che dalla tempesta del vento, mentre elle portano acqua per ispegnere il fuoco con certi vasi in mano et in capo, sono aggirati loro i capegli et i panni con una furia terribilissima; altri che si studiano buttare aqua, accecati dal fummo non cognoscono se stessi. […] Né si può esprimere quello che si imaginò questo ingegnosissimo e mirabile artefice in una madre che, messosi i figlioli innanzi, scalza, sfibbiata, scinta e rabbuffato il capo, con parte delle veste in mano, gli batte perché e’ fugghino dalla rovina e da quello incendio del fuoco. […] Gli misero alla morte, al capo nella sala ove lavorava, la tavola della Trasfigurazione che aveva finita per il cardinale de’ Medici: la quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l’anima di dolore a ognuno che quivi guardava; la quale tavola per la perdita di Raffaello fu messa dal cardinale a San Pietro a Montorio allo altar maggiore, e fu poi sempre per la rarità d’ogni suo gesto in gran pregio tenuta.