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1. (1568) Vita di Raffaello

Laonde si può dire sicuramente che coloro che sono possessori di tante rare doti quante si videro in Raffaello da Urbino, sian non uomini semplicemente, ma, se è così lecito dire, dèi mortali; e che coloro che nei ricordi della fama lasciano quaggiù fra noi mediante l’opere loro onorato nome, possono anco sperare d’avere a godere in cielo condegno guidardone alle fatiche e merti loro. […] Era tanta la grandezza di questo uomo, che teneva disegnatori per tutta Italia, a Pozzuolo e fino in Grecia; né restò d’avere tutto quello che di buono per questa arte potesse giovare. […] La quale opera fu tanto miracolosamente condotta, che reca maraviglia il vederla et il pensare come sia possibile avere sfilato i capegli e le barbe, e dato col filo morbidezza alle carni: opera certo più tosto di miracolo che d’artificio umano, perché in essi sono acque, animali, casamenti, e talmente ben fatti che non tessuti ma paiono veramente fatti col pennello. […] Èvvi una femina fra molte, la quale è principale figura di quella tavola, che inginocchiata dinanzi a quegli, voltando la testa loro e coll’atto delle braccia verso lo spiritato, mostra la miseria di colui; oltra che gli Apostoli, chi ritto e chi a sedere e altri ginocchioni, mostrano avere grandissima compassione di tanta disgrazia. […] Dolse ancora sommamente la morte sua a tutta la corte del Papa, prima per avere egli avuto in vita uno officio di cubiculario, et appresso per essere stato sì caro al Papa che la sua morte amaramente lo fece piagnere.

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