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1 (1568) Vita di Raffaello
stata cagione che molte volte si era più dimostrato in loro l’ombra e lo scuro de’ vizii che la chiarezza e splendore di q
avendo altri figliuoli, come non ebbe anco poi, che la propria madre lo allattasse, e che più tosto ne’ teneri anni apara
l putto, non senza molte lacrime della madre che teneramente l’amava, lo menò a Perugia, là dove Pietro, veduto la maniera
o. In San Francesco ancora della medesima città fece in una tavoletta lo Sposalizio di Nostra Donna, nel quale espressamen
quale, essendo amico di Raffaello e conoscendolo ottimo disegnatore, lo condusse a Siena, dove Raffaello gli fece alcuni
lla città molto onorato, e particolarmente da Taddeo Taddei, il quale lo volle sempre in casa sua et alla sua tavola, come
oli ma bellissimi e della seconda maniera, i quali sono oggi appresso lo illustrissimo et eccellentissimo Guidobaldo duca
o, quando porta la croce, dove sono bellissime movenze di soldati che lo stracinano, e quando è morto in grembo alla Madre
] più e meno eccellenti nella pittura. Prima che partisse,di Perugia, lo pregò madonna Atlanta Baglioni che egli volesse f
fa festa a un San Giovannino pòrtogli da Santa Elisabetta, che mentre lo sostiene con prontezza vivissima guarda un San Gi
Masaccio, e quelle che vide nei lavori di Lionardo e di Michelagnolo lo feciono attendere maggiormente agli studî, e per
, figura molto considerata et astratta, che per la sua bellezza e per lo suo abito così aùccaso è degna d’essere lodata. S
; èvvi la dotta Safo et il divinissimo Dante, il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio, che vivi vivi sono, il Tibalde
gelisti, e’ Martiri su le nugole, con Dio Padre che sopra tutti manda lo Spirito Santo e massimamente sopra un numero infi
col far certi atti con la persona, con attenzione degli orecchi, con lo increspare delle ciglia e con lo stupire in molte
a, con attenzione degli orecchi, con lo increspare delle ciglia e con lo stupire in molte diverse maniere, certo variate e
Anna di Andrea Sansovino in Roma, Rafaello sùbito rifacesse di nuovo lo Esaia profeta che ci si vede, che digià lo aveva
sùbito rifacesse di nuovo lo Esaia profeta che ci si vede, che digià lo aveva finito; nella quale opera, per le cose vedu
sono si vede grandissima vivacità e colorito perfetto: e questa opera lo fe’ stimar grandemente vivo e morto, per essere l
imo et una prontezza di sicurtà, come in coloro che lontani dal mondo lo sbeffano, e nel praticare il publico odiano la bu
nrisoluta: e si conosce nell’attitudine delle mani quasi il tremito e lo spavento che si suole in simili casi avere. Fecev
co’ diversi lumi della notte, che ti par vedere il fumo della torcia, lo splendor dell’Angelo, con le scure tenebre della
tempio di tutti i depositi delle vedove e de’ pupilli: e già si vede lo sgombro delle robbe et i tesori che andavano via,
uire tale opera, e nell’altra faccia fece la venuta d’Atila a Roma, e lo incontrarlo appiè di Monte Mario che fece Leon II
ncontrarlo appiè di Monte Mario che fece Leon III pontefice, il quale lo cacciò con le sole benedizzioni. Fece Raffaello i
n gianetto macchiato che è cavalcato da una figura, la quale ha tutto lo ignudo coperto di scaglie a guisa di pesce: il ch
le gambe, facendo carezze a San Giovanni piccolo fanciullo, il quale lo adora insieme con Santa Elisabetta e Giuseppo. Qu
esse per San Giovanni in Monte di Bologna una tavola, la quale è oggi lo [II. 77]cata nella capella dove è il corpo della b
sono, ma quelle di Raffaello cose vive, perché trema la carne, vedesi lo spirito, battono i sensi alle figure sue e vivaci
udo e nelle fat[t]ezze del volto che nel suo ridere rallegra chiunque lo guarda; senzaché Raffaello mostrò nel dipignere l
abbia a fare. La quale opera fu cagione che il Papa di premio grande lo rimunerò; e questo quadro si trova ancora in Fior
, ereditario di Raffaello, in Mantova. Avendo dunque veduto Raffaello lo andare nelle stampe d’Alberto Durero, volonteroso
ell’arte nostra e gli artefici il fratello suo Simon Botti, che oltra lo esser tenuto da tutti noi [II. 79] per uno de’ pi
maravigliosa, conoscendosi in quella la impietà de’ crocifissori che lo conducono alla morte al monte Calvario con grandi
toria, due sopra le finestre e due altre in quelle libere. Era in una lo incendio di Bo[r]go Vec[II. 80]chio di Roma, che
o, San Leone IIII si fa alla loggia di palazzo, e con la benedizzione lo estingue interamente: nella quale storia si veggi
donna ignuda tutta rabbuffata, la quale avendo il figliuolo in mano, lo getta ad un suo che è campato dalle fiame e sta n
tissimo fuoco che la avvampa; né meno passione si scorge in colui che lo piglia per cagione d’esso putto che per cagion de
cosa bellissima. Ne disegnò ancora uno al vescovo di Troia, il quale lo fece fare in Fiorenza nella via di San Gallo. Fec
la prima loggia, Raffaello non poteva molto attendere a lavorare per lo amore ch’e’ portava ad una sua donna; per il che
cosso, gli fu domandato in dono da messer Iacopo da Carpi medico, che lo guarì; e per averne egli voglia, a se medesimo lo
a Carpi medico, che lo guarì; e per averne egli voglia, a se medesimo lo tolse, parendogli aver seco obligo infinito: et o
sfigurato nel monte Tabor, e appiè di quello gli undici Discepoli che lo aspettano, dove si vede condotto un giovanetto sp
de condotto un giovanetto spiritato, acciò che Cristo sceso del monte lo liberi; il quale giovanetto, mentre che con attit
e preso animo, fatto gli occhi tondi con la luce in mezzo, mostra con lo alzare le ciglia et increspar la fronte in un tem
anzi a quegli, voltando la testa loro e coll’atto delle braccia verso lo spiritato, mostra la miseria di colui; oltra che
noscere [il] mostrare [in] pittura Cristo trasfigurato alla divinità, lo guardi in questa opera, nella quale egli lo fece
asfigurato alla divinità, lo guardi in questa opera, nella quale egli lo fece sopra a questo monte, diminuito in una aria
pare che tanto si restrignesse insieme con la virtù sua per mostrare lo sforzo et il valor dell’arte nel volto di Cristo,
icultà non poté mai passare Lionardo; e se bene pare a molti che egli lo passasse nella dolcezza et in una certa facilità
vuto bisogno di quella tenera età che meglio apprende ogni cosa, e de lo spazzio di molti anni. E nel vero, chi non impara
artefice. A questo, sì come bene andò pensando Raffaello, s’aggiugne lo arric[c]hirle con la varietà e stravaganza delle
o fatto molti artefici dell’età nostra, che per aver voluto seguitare lo studio solamente delle cose di Michelagnolo non h
appresso per essere stato sì caro al Papa che la sua morte amaramente lo fece piagnere. O felice e beata anima, da che ogn
ni. Dicesi che ogni pittore che conosciuto l’avesse, et anche chi non lo avesse conosciuto, se lo avessi richiesto di qual
re che conosciuto l’avesse, et anche chi non lo avesse conosciuto, se lo avessi richiesto di qualche disegno che gli bisog
stando a’ suoi servigi, sotto lui operò, perché ritrovo chiunche che lo imitò essersi a onesto porto ridotto: e così queg
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