(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 718-721
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(1897) I comici italiani : biografia, bibliografia, iconografia « I comici italiani — article » pp. 718-721

Zago Emilio. Il solo scrivere questo nome mi mette il buon umore e mi rifà il sangue. Quel riso della bocca e degli occhi, quella voce squillante, quei ciao e complimenti, e ostregheta tutti suoi, quella pancia, quelle gambette, che ricordano un po'il delizioso buffo barilotto del San Carlino, formano un tale insieme di giocondità, che non è possibile vederlo e udirlo, senza lasciarsi andare alla più matta risata. Perchè…. egli è piccolo, molto piccolo, inverosimilmente piccolo, tanto che la sua statura fu nell’inizio della sua vita artistica un grande ostacolo a farlo entrare in una Compagnia rispettabile come quella di Moro-Lin, che fu la sua prima e grande e ben giustificata aspirazione.

Nacque a Venezia il 19 marzo 1852 da Giuseppe Zago e da Maria Vianello, e mostrò fin da giovanetto inclinazioni e attitudini al teatro. Entrato nella Filodrammatica Gustavo Modena, potè subito, sotto gl’insegnamenti dell’artista Carlo Hurard, farsi notare per una innata, irresistibile comicità ch'ei profondeva ne'limiti di una correttezza artistica, assai rara in un dilettante. Gli applausi della folla, le lodi della critica gli fecero lasciare di punto in bianco l’impiego ch'egli aveva di commesso nella Casa Commerciale del Senatore Reali, e lo fecero partire a insaputa de'suoi per Loreo, dove era ad attenderlo la Compagnia di Francesco Zocchi, che recitava all’aperto, e da cui, dopo alcun tempo, felice di potersi liberare da quell’ambiente di guitti, passò a Voltri in Liguria, in quella Ilardi-Cardin, la quale, purtroppo, era più guitta dell’altra. Finalmente, dopo cinque anni d’incredibili peripezie, in cui la fame aveva pur sempre la più gran parte, a traverso plaghe inospitali, in barroccio, in carretta, a piedi, or cogli Stenterelli Serrandrei e Miniati, or con Benini e Gelich e De Carbonin e altri, recitando da vecchio e da giovine, da promiscuo e da mamo, e fin sotto le spoglie della maschera Faccanapa, contrapposto vivente e poco fortunato del Faccanapa di legno inventato dal Reccardini, che formava le delizie del popolo triestino, mentr' egli, Zago, era con Gelich, Tollo e Papadopoli al Teatro Mauroner, pur di Trieste, eccotelo – dico – finalmente di sbalzo (agosto '76) a Napoli con 5 lire al giorno, generico della Compagnia Veneziana di Angelo Moro-Lin, salutato da un fragoroso, unanime applauso al suo primo apparir sulla scena, dopo appena tre sere dal suo debutto.

Restò con Moro-Lin fino a che (giugno dell’ '83) per la morte della celebrata attrice Marianna Moro-Lin, la Compagnia si sciolse, e ne formò subito una egli stesso in società con Borisi diretta da Giacinto Gallina, e amministrata dal fratello Enrico, della quale eran bell’ornamento, oltre che Zago e Borisi, la Zanon-Paladini, la Fabbri-Gallina, la Foscari ; e la quale esordì con clamoroso successo il 2 settembre a Feltre, e andò trionfalmente fino al febbrajo dell’ '87 ; in cui, nella sera di congedo, dopo gran numero di chiamate alla Compagnia, egli dovette andar solo a ricever le acclamazioni della folla al colmo dell’entusiasmo. Si unì per alcun mese alla Compagnia Benini-Sambo, e formò poi per la quaresima dell’ '88 una nuova società con Guglielmo Privato, che procedè come l’altra di trionfo in trionfo sino allo spegnersi di questo, diventando alla fine capocomico solo, rallegrato seralmente dalla gioja ormai abituale del successo, e dalla speranza nuova e pur grande di vedere i maggiori progressi del figliuolo Giuseppe (uno dei quattro ch'egli ebbe dal suo matrimonio [carnovale 18 con la signorina Cesira Borghini di Ancona, il quale, a fianco del babbo, con tanto esempio e con tali ammaestramenti, comincia a far già buona prova nelle parti comiche [V. la prima fotografia del quadro]), addolorato soltanto, egli, artista nell’ anima, di non aver più potuto, e non potere, non so bene se per ragioni artistiche o finanziarie, congiungersi al suo confratello dialettale Francesco Benini, e rinnovar le vecchie, e interpretare alcune parti nuove del repertorio di Gallina.

« L'avvenire del teatro veneziano – egli disse una sera dell’ottobre '98 al Rossini di Venezia in una intervista con Renato Simoni – sarebbe splendido, ove, tolti di mezzo gli ostacoli, non creati da me, che dividono la nostra Compagnia da quella di Gallina, ci trovassimo uniti tra i migliori : Gallina, Benini, Privato, la Zanon, io, e i più buoni elementi delle due Compagnie. Si entrerebbe in un periodo glorioso, che ricorderebbe i tempi di Marianna Moro-Lin. Non occorrerebbero neppure commedie nuove ; basterebbero le ultime di Gallina, qualche po' di Goldoni, il buono del repertorio veneto, e il pubblico dovrebbe venire per forza a teatro. Purtroppo questa combinazione non è per ora che un sogno. Io aspetto e spero. » E l’aspettazione e la speranza, quasi vane ormai, non gl’impediscono di portar sempre e dovunque il magistero dell’arte sua, con predominio di note schiettamente gaje, sia che il buon gusto del pubblico gli conceda di spiegar le sue doti ne'capolavori goldoniani (oggi [1905] ne ha oltre venti in repertorio), sia che dal palato avvezzo agli eccitanti, o dal bisogno nel pubblico lavoratore di una distrazione spensierata, egli debba mostrarsi nelle innocue e pur vilipese aberrazioni chiassone della pochade. Perchè…. pochi artisti hanno come lui il privilegio di riempiere la scena. Io lo metterei subito, nella scena dialettale, accanto a Ferravilla e alla Zanon : due artisti che per la loro vita vissuta dinanzi alla ribalta, assorbono dal lor primo apparirvi i sensi tutti dello spettatore. Emilio Zago, dicono, alcuna volta va oltre i confini dell’arte. Voglio concederlo. Chi non c’è andato, e chi non ci va, anche de' sommi, specialmente comici ? Il rimprovero dello strafare fu mosso dalla critica inguantata, come s’è visto, anche a Luigi Vestri, il quale, artista eminentissimo, di una verità, e soprattutto di una semplicità sbalorditiva, pare fosse tuttavia conoscitore profondo di tutte le risorse del mestiere, alle quali, per acconciarsi alle esigenze di certi pubblici, ricorreva talora, non saprei dire se volentieri o a malincuore. E poi : in che lavori avrà strafatto il Vestri, in quali strafà lo Zago ? Chi vorrebbe adoperar la brutta parola per I Recini da festa, La Casa nova, Sior Todero brontolon, I Rusteghi, Oci del cor, e quel Fator galantomo, in cui egli, incredibile dictu, muore in iscena, e commuove il pubblico, tanto da sclamar la prima sera a Trieste (gennajo '96) a recita finita : « In malorsega che li go fati pianzer ?… » E di che deve il pubblico dolersi, ove l’artista egregio alle chiassate nell’Amor sui copi, o nel Campagnol ai Bagni al Lido, o nell’Albergo del Libero scambio aggiunga alcuna delle sue strampalerie, qualche suo granellin di pepe ? A lui deve già tanto il pubblico e tanto ancora dovrà ! Emilio Zago, che ha in sè tutta la spigliatezza arguta, tutta la bonarietà del suo popolo veneziano, è forse il più atto a sentire e a riprodurre l’opera di Carlo Goldoni fatta dallo stesso vero ; e al teatro di Goldoni infatti egli volge oggi ogni pensiero, ogni studio, ogni aspirazione. Bisogna conoscerlo personalmente, battere, dirò così, al suo cuore, e farglielo aprire, senza soggezione : su cento parole ottanta sono per Goldoni. Bisogna vederlo fra un atto e l’altro, e magari fra una scena e l’altra, in quel suo camerino, ingombro di giubbe di ogni specie, di spadini lucenti, di parrucche, vicino alla sua tavola di truccatura, sulla quale, accanto ai barattoli del minio, del bianco, della terra d’ombra scintillano anelli antichi enormi, e orologi istoriati e tabacchiere e ciondoli svariati, e al disopra della quale alla parete di fronte, accanto a un grande specchio vigila in bella e nitida incisione il ritratto di Lui, di Goldoni, in compagnia d’incisioni minori di suoi personaggi, di maschere, di mode del suo tempo ; bisogna vederlo, dico, col suo libricciuolo in mano di una commedia del Maestro, non mai tentata a' nostri tempi, per esempio, L'uomo prudente, o L'uomo di mondo, che studia, analizza, notomizza per la riduzione, pei tagli sapienti, per le trasposizioni di scene, di frasi, di parole !…

E così a ogni commedia goldoniana che risorge, è una buffonata nostra o forastiera che tramonta…. E così, mercè sua, Goldoni rivive sulla scena, di vita, se non anche gagliarda, non più tisica certo, come pochi anni a dietro…. Così, mercè sua, il vecchio teatro dell’Armonia di Trieste riceve il 30 novembre 1902 il nuovo battesimo di Teatro Goldoni ;… E così, finalmente, nel costante favore di popolo e di critica, un suo pallido e debole sogno di creare la casa di Goldoni a Venezia con artisti veneziani e repertorio goldoniano, va acquistando nella sua mente e nel suo cuore luce e vita per modo da occuparlo tutto omai come una, più o men lontana, realtà luminosa…. Ed è con l’accenno a sì grande idea, e con due parole di lieto augurio, ch'io metto fine al mio piccolo dire : Dio voglia !…